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​Storia della botte di legno per l'invecchiamento del vino

By Luca Stroppa 11 maggio 2022 141 Views

Storia della botte di legno per l'invecchiamento del vino

La conservazione e la maturazione o invecchiamento del vino in legno è una pratica molto comune ai giorni nostri. In molti casi (non sempre) e con determinate tipologie di vino, questa tecnica favorisce lo sviluppo delle qualità organolettiche del nettare. Abbiamo già affrontato questo argomento in un precedente articolo: "Che cosa significa vino barricato".

Ora, invece, vogliamo spostare il nostro focus sui passaggi che hanno portato ad adottare il legno come materiale per l'evoluzione del vino, sulla sua storia e su quegli eventi che hanno portato alla sua scoperta.

Botti di legno per il vino: storia

Devi sapere che il legno non è stato il primo materiale ad essere utilizzato per la conservazione e il trasporto del vino. Prima della sua scoperta, è stata la terracotta, ovvero l'argilla cotta al forno, a dominare incontrastata questo settore.

Le prime testimonianze relative al ricorso alle anfore di terracotta risalgono addirittura al 5000 a.C. e sono geograficamente collocabili nell'area caucasica al confine tra Europa e Asia, nell'attuale Georgia. Proprio qui, recentemente, sono state ritrovate otto giare di terracotta, della capacità di 300 litri, che, sul fondo e sulle pareti, conservano tracce di vino.

Presso queste popolazioni era ben nota la capacità di isolamento termico di questo materiale. Ancora oggi, in Georgia, per la vinificazione, si utilizzano contenitori di terracotta, chiamati "Qvevri", interrati per garantire condizioni di massimo isolamento e una temperatura costante in ogni fase del processo produttivo.

L'utilizzo delle anfore di terracotta si diffuse prima tra gli Egizi, poi tra i Greci e tra i Romani, dove prese il nome di "amphora vinaria".

Uno dei problemi delle anfore realizzate con la terracotta è la loro fragilità. Capitava spesso che, durante il trasporto terrestre, attraverso appositi carri, anche un piccolo sobbalzo provocasse la rottura del contenitore. Inconvenienti che i Romani cercarono in tutti i modi di risolvere, ricorrendo anche ad altri materiali decisamente più resistenti, come il bronzo, comunque più costoso e meno reperibile dell'argilla.

Ben presto, però, fu un'insospettabile popolazione di cultura celtica a fornire la soluzione ad ogni problema. Si tratta dei cosiddetti Galli. Questi ultimi erano presenti in un'ampia regione che dalla Manica arrivava alle Alpi Occidentali, fino a toccare i territori dell'Italia Settentrionale (Gallia Cisalpina) occupati proprio da alcune popolazioni celtiche. Anche per la loro collocazione geografica, con la presenza di numerose aree boschive e foreste, i Galli erano abilissimi lavoratori del legno, oltre che appassionati di vino.

Sommando tutti questi aspetti si capisce perché, già da tempo, questa popolazione realizzava e utilizzava per la conservazione e per il trasporto del vino botti di legno di quercia, ampiamente disponibile nelle aree dove vivevano.

A onor del vero, alcune testimonianze risalenti all'epoca babilonese accertano l'utilizzo di una sorta di botte di legno ricavata da un tronco di palma scavata. Si trattava però di soluzioni poco consapevoli e diffuse. I Galli, al contrario, compresero non solo la maggiore praticità della botte di legno ma anche la sua capacità di favorire l'evoluzione del vino e conservarne la qualità.

Quando, nel I secolo a.C., i Romani sconfissero le tribù dei Galli, fecero conoscenza degli usi e dei costumi di questa popolazione, scoprendo, tra le altre cose, questo nuovo metodo di conservazione e trasporto del vino. Come riportato da Strabone, nella sua "Geographia", in relazione alla Gallia Cisalpina: "dell'abbondanza del vino fan testimonio le botti, le quali sono di legno e più grandi di case".

A partire da quel momento, gli studi e le conoscenze sulle botti di legno sono migliorate di pari passo con l'evoluzione dei tempi, sia in termini di tecniche di lavorazione sia in termini di scelta delle tipologie di legno da utilizzare.

Furono i monaci Benedettini e Cistercensi ad investire in questo settore fino a giungere all'affermazione, in epoca medievale, della figura del mastro bottaio: vero e proprio artista delle botti di legno per la conservazione del vino.

Ma tutto ciò sarebbe stato possibile senza il contributo dei Galli? Probabilmente no. Non a caso, quando si scoprì che il legno trasmetteva al vino composti tannici, questi furono chiamati "tannini gallici", proprio in riferimento a questa popolazione.

Insomma, ai Galli dobbiamo un pezzo di storia del vino!

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Posted in: Curiosità sul vino
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