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Vini passiti secchi italiani: quali sono?

By Luca Stroppa 04 giugno 2021 507 Views

Vini passiti secchi italiani: quali sono?

Quando parliamo di vini passiti siamo abituati a pensare a vini dolci, dal ricco contenuto zuccherino, adatti per essere bevuti a fine pasto con il dessert. Nella maggior parte dei casi, questo è il profilo e l’identikit di un classico vino passito. Ma non sempre …

Nel ricco e variegato panorama enologico italiano trovano spazio importanti vini passiti secchi, il cui tenore zuccherino è inferiore a quello dei vini passiti dolci. Scopri i vini passiti secchi italiani leggendo il nostro articolo.

Vini passiti secchi: che cosa sono?

Come abbiamo sottolineato in un precedente articolo dedicato all’appassimento delle uve da vino, questa tecnica consiste nel far “seccare” le uve prima della pigiatura. Il risultato è la parziale disidratazione degli acini che si traduce nella perdita di parte dell’acqua in essi contenuta, nella perdita del 30%-40% del loro peso originario e nella conseguente concentrazione di zuccheri, sostanze aromatiche e polifenoli. Quest’ultimo è proprio l’aspetto caratteristico e distintivo dell’appassimento ed è ciò che determina le principali proprietà dei vini passiti.

Se far appassire le uve significa favorire la concentrazione zuccherina nelle bacche, è naturale sfruttare questa tecnica per ottenere vini dolci con un elevato residuo zuccherino. Nella maggior parte dei casi, la fermentazione alcolica delle uve passite viene bloccata e interrotta, in modo tale che solo parte degli zuccheri presenti nel mosto si trasformi in alcol etilico, donando al nettare la tipica “dolcezza”.

In altri, rari, casi, la fermentazione delle uve passite viene completata interamente o quasi, e tutti o gran parte degli zuccheri sono trasformati in alcol etilico. Si ottengono così vini passiti secchi, il cui residuo zuccherino è inferiore rispetto a quello dei classici vini passiti dolci e il cui tenore alcolico è superiore, proprio perché con la fermentazione si è completata la trasformazione degli zuccheri in alcol.

Vini passiti secchi italiani: quali sono?

Nel mondo dei vini passiti italiani esistono due esempi, molto prestigiosi, di grandi vini passiti secchi. Si tratta dello Sforzato di Valtellina D.O.C.G. e dell’Amarone della Valpolicella D.O.C.G.

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Sforzato di Valtellina

Lo Sforzato o Sfursat è il vino tipico della Valtellina, in Lombardia, ottenuto da uve Nebbiolo, localmente denominato Chiavennasca, per almeno il 90% della sua composizione ampelografica.

Come si legge nel disciplinare di produzione della D.O.C.G. “Sforzato di Valtellina”:

“Lo Sforzato era, ed è ancora oggi, il risultato della vinificazione di uve lungamente appassite in solaio sino a perdere, per disidratazione naturale, circa il 30% del volume dell’acqua contenuta. Si procede alla raccolta in epoca di vendemmia con attenta cernita e molta cautela: il grappolo deve presentarsi maturo (con circa 18%-20% di zuccheri), assolutamente sano, con acini ben divisi. Successivamente i grappoli vengono posti a riposo, dalla raccolta sino alla fine di gennaio o, in qualche annata, anche fino a febbraio/marzo, al freddo invernale, ad appassire e a concentrare i propri succhi fino al raggiungimento del 26%-27% di concentrazione zuccherina”.

A questo punto, si procede alla fermentazione alcolica per un periodo prolungato, con la totale trasformazione degli zuccheri in alcol. Il risultato è un vino secco, strutturato, di carattere e alcolico (almeno 14,00% vol. secondo il disciplinare) perfetto per accompagnare piatti di carne corposi e importanti.

Amarone della Valpolicella

L’Amarone della Valpolicella è l’altro grande vino passito secco italiano, ottenuto da un blend di uve dei principali vitigni della zona: Corvina Veronese (Cruina o Corvina) dal 45% al 95 %, Corvinone (max. 50%) e Rondinella (5-30%).

Come si legge nel disciplinare della D.O.C.G. “Amarone della Valpolicella:

“Le uve sono attentamente selezionate in vigna e dopo la raccolta vengono poste in un unico strato, in cassette di legno, di plastica o su graticci di canne di bambù per fare meglio circolare l’aria ed impedire che le uve si schiaccino. Successivamente vengono collocate in ampi fruttai ricavati sopra le cantine che devono essere perfettamente aerati e in grado di assicurare un’ideale conservazione dei grappoli. Le uve devono rimanere nei fruttai [per l’appassimento] 100 o 120 giorni sino a che non perdono almeno la metà del loro peso. In questa fase nelle uve avvengono una serie di complesse trasformazioni […] che favoriscono la concentrazione dei polifenoli e l’aumento considerevole della glicerina”.

Anche in questo caso segue la fermentazione, con totale trasformazione degli zuccheri in alcol etilico. Si ottiene così un grande vino rosso, asciutto, morbido, corposo e vigoroso perfetto per accompagnare secondi piatti di carne, selvaggina e formaggi stagionati.

A dimostrazione della particolarità di questo vino, leggenda vuole che l’Amarone abbia avuto origine da una botte di Recioto, il passito dolce della Valpolicella, lasciata fermentare a lungo con la conseguente trasformazione degli zuccheri in alcol, perdita della classica dolcezza e l’ottenimento di un vino secco, “amaro” e decisamente alcolico. Il cantiniere protagonista di questa dimenticanza, fu un certo Adelino Lucchese, il quale, assaggiando il nuovo vino, esclamò: “questo non è amaro, è amaron!”. Da qui, il nome Amarone!

Posted in: Cultura del vino
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