Vino del Re e vino del Signore

Questo simpatico racconto ci è stato inviato dal nostro cliente Avv. Edoardo Bolis di Roma.

Le tavole imbandite erano pronte ad ospitare gli sposi, che erano attesi dalla chiesa del vicino borgo. Sotto il grande portico prospiciente l'aia erano allineati più tavoli, mentre le donne che non si erano recate alla cerimonia, indaffaratissime, stavano pronte a ricevere gli sponsali. A sovraintendere ai preparativi era il vecchio patriarca che, con la scusa di essere indispensabile, era rimasto a casa. Mentre la vera ragione risultava semplicemente nel fatto che tutto quanto riguardasse preti e cose del genere, da buon giacobino di rivoluzionarie memorie, gli era estremamente ostico, anzi insopportabile. Così, seduto su di un impagliato seggiolone, dava ordini, per lo più inascoltati. Nel frattempo le prime carrozze stavano sopraggiungendo dal ponte prospiciente la casa dove si sarebbe svolta la festa di nozze. Il lungo corteo delle carrozze si fermò sul prato antistante la grande cascina, scesero dalle vetture non meno di cento persone, fra giovani, vecchi e ragazzi, unitamente agli sposi, oltre all'arciprete, immancabile a queste feste dove le libagioni ed altro erano una costante. Gli sposi, fatti attenzione dalla festosa compagnia, erano entrambi molto giovani. Lei di bianco vestita poteva risultare non bellissima, ma piacevolmente rotondetta in ogni sua parte, con caratteristiche femminili oltremodo piacevoli. Lui diremo massima espressione del contadino vignaiuolo, tracagnotto, rosso in viso ma ben piantato su gambe robuste. Fra questa variopinta compagnia faceva oltremodo spicco monsignor Simone, arciprete della diocesi. Un viso il suo che era la classica espressione del prete uso ai piaceri della tavola e non solo. Si diceva di lui che le sottane avevano per monsignore un attrazione particolare. I maligni dicevano pure che in confessionale tratteneva il doppio del tempo le giovani donne, sposate e non, soltanto se erano carine. Mentre le vecchie o le befane erano liquidate con un veloce "ego te absolvo". Ma comunque monsignor Simone era un prete di piacevolissima conversazione, soprattutto su temi piccanti. Così il pantagruelico pranzo ebbe inizio, con l'accompagnamento di due vecchie fisarmoniche e di un violino, gracchiante ma intonatissimo, il tutto ben innaffiato da più vini di produzione della casa e vanto della medesima. Dodici botticelle, con segnato in gesso quale vino contenessero, erano allineate contro le pareti del portico. Tranne una che, ancora sigillata, era scostata dalle altre ed aveva scritto, sempre in gesso, sulla sua testata "vino del Re". Il vecchio patriarca Luigi, a chi gli chiedeva quale vino contenesse rispondeva: "Solo il nostro Re Luigi Filippo ha bevuto questo vino e solo per il matrimonio di mia nipote Enrichetta ho messo a disposizione il vino del Re. Ed al brindisi finale potrete verificare la sua bontà!". Nel frattempo la festa continuava tra gran vociare, libagioni e gran bevute. Mentre monsignor Simone sbirciava fra le scollature delle femmine e alzandosi per spillare il vino dalle botti girava fra i tavoli avvicinandosi alle donne più vistose e piacevoli, benedicendo qua e là e soffermandosi su questa o quella maggiormente prosperosa. ma seduto poi, copiosamente bevendo, si rivolgeva al buon Dio: "Mio Signore bevo in quantità nella speranza che il vino offuschi la mia vista in modo che tutto questo ben di Dio", riferendosi alla compagnia femminile, "mi appaia il più offuscato possibile" e concludeva: "Vade retro Satana!". Ma la vista gli era sempre più chiara ed i suoi sguardi sempre più penetranti. Nel frattempo il caldo si faceva insopportabile, aggravato dal gran mangiare ma soprattutto dal gran bere. Così che la compagnia cominciò a svestirsi dagli indumenti che maggiormente accaloravano. Le dame cominciarono a togliersi gli scialli mettendo in mostra incredibili scollature. Una di queste, la non tanto giovane moglie del mugnaio, vicina a monsignore gli si rivolse: "Monsignore se Dio mi perdonasse, magari in un angolo oscuro, come mi spoglierei volentieri! Questo caldo mi fa morire". Monsignore non perse l'occasione e le rispose: "Figliola non parlare di morire, nostro Signore ci ha creati nudi e non è senz'altro peccato lo svestirsi, anzi", continuò, "tu puoi svestirti quando vuoi, in luogo appartato ben si intende, poi se mai fosse al Signore ritenuto un peccato io sarò lì ad assolverti". La donna, pure lei presa dal vino, replicò: "Lei monsignore vorrebbe farmi presente che se io, facciamo per ipotesi, scendessi in cantina e mi spogliassi, lei subito dopo mi assolverebbe?". "Precisamente cara figliola, immediatamente". La donna stette un attimo soprapensiero, poi senza dir nulla si alzò e prese la strada della cantina. Monsignore, poco dopo, la seguì e prese pure lui la medesima strada. Quando poi si trovò fra le botti e le damigiane, in un primo tempo non si accorse di nulla, data la penombra, poi un sussurro lo fece trasalire: "Monsignore sono io". Infatti Laura, così si chiamava la peccatrice, stava seduta, quasi completamente svestita, su di una botticella. Monsignore le si avvicinò spavaldamente, ma si fermò per un attimo, si appropriò di due bicchieri e cavò da una botte un bianco e freschissimo vinello, poi di nuovo avvicinandosi alla donna le porse il bicchiere, proferendo in modo solenne: "Sopra stanno bevendo il vino del Re, noi, cara figliola, berremo il vino del Signore". E con la mano libera la benedisse.

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