Ricordi di un lontano Natale

Questo nostalgico racconto ci è stato inviato dal nostro cliente l'Arch. Giuseppe Broletti di Bergamo.

Era la vigilia di Natale quando il vecchio patriarca, seduto accanto al grande camino acceso, raccontava alla famiglia riunita per l’occasione, di una vigilia di Natale vissuta molti anni addietro, quando ancora era giovane, una vigilia che mai aveva dimenticato. Raccontava delle povertà della gente del suo paese, che per il giorno di Natale dimenticava le tribolazioni quotidiane e spendeva i pochi risparmi per trascorrere alla meno peggio la solennità di quel giorno. Tutta la famiglia ascoltava attentamente il vecchio e pure i più piccoli, ai quali quella sera era permesso di star svegli fino a tarda ora, ascoltavano il nonno che raccontava del suo tempo migliore, il tempo della sua giovinezza, quando per la notte di Natale le famiglie si riunivano nelle stalle o nelle cucine ad aspettare la nascita di Gesù. "Tu nonno c’eri in quei luoghi?", chiese uno dei nipoti. "Si"gli rispose, c’ero anch’io". E così cominciò il suo racconto. Quel giorno di vigilia noi, insieme alle quattro famiglie che coabitavano la nostra cascina, avevamo deciso di organizzare la cena di mezzanotte nella nostra cucina, la più grande e la meglio riscaldata grazie al grande camino ed alle due stufe di terracotta. La giornata era splendida: il sole illuminava il paese candido dopo la grande nevicata che si era protratta per tutta la notte, e, con il cielo azzurrissimo, sembrava un paesaggio da fiaba. Già dal primo mattino le donne erano affaccendate nei preparativi. Le ore trascorrevano veloci e dalle varie cucine si avvertivano i profumi degli arrosti, dei brasati e dei bolliti, i classici del nostro Piemonte: anche a noi quella notte non sarebbe mancato proprio nulla. Il mio buon padre e gli altri uomini, dopo il lavoro nelle stalle, cominciarono una vivace discussione per scegliere i vini da bere durante la cena. Sotto la cascina era tutto un susseguirsi di cantine a volta, dove ogni contadino lavorava la sua uva e produceva il suo vino: ognuno pensava che il suo fosse il vino migliore, e così la discussione si trasformò in una degustazione direttamente in cantina; se non fosse stato per il provvido intervento delle mogli, il tutto si sarebbe concluso con una grande sbronza. Era da poco passato il mezzogiorno, quando si iniziò a mettere vicino alle stufe un considerevole numero di bottiglie tra le quali oltre all’immancabile barbera, al dolcetto e al grignolino, troneggiava il barolo prodotto dallo zio, il barba Tobia. Fuori nel frattempo il cielo si era ingrigito e tutto faceva pensare che presto avrebbe ripreso a nevicare. Ad un tratto l’anziana zitella zia Luigina, guardando la tavolata quasi del tutto imbandita, rivolgendosi a mia madre, uscì con parole di stupore: "Quanto ben di Dio, ma penso a quanti nel nostro paese non hanno nulla per festeggiare il Natale!" Prontamente mia madre fece eco a questa affermazione: " Le famiglie poverissime del nostro paese ben le conosciamo", e le nominò una ad una. Poi richiamò l’attenzione delle altre donne facendo loro una proposta: " Zia Luigina mi ha ricordato quante nel nostro paese sono le famiglie nell’indigenza, proporrei di mettere a disposizione quanto possiamo, prendere il carro a quattro ruote, quello che usiamo per il fieno, addobbarlo con carta, stracci e nastri colorati, vestire tre o quattro dei nostri ragazzi da Babbo Natale e poi, con campanacci, padelle a mo’ di tamburo e la vecchia tromba di nonno Arcidide, mandarli in paese prima che venga sera, casa per casa, per portare a quei poveri cristi un poco di conforto". Detto fatto: chiamati i ragazzi, dopo averli vestiti ed avere raccomandato loro la gente più povera, ogni famiglia mise sul carro il proprio contributo insieme a non poche bottiglie di vino, e, attaccato al carro il vecchio cavallo di nome Berta, la comitiva si mise in cammino. Di questa comitiva io pure facevo parte e ci incamminammo quando il campanile della chiesa suonava il tocco pomeridiano. La nostra cascina distava non molto dal paese e, nonostante la neve alta, in breve arrivammo a destinazione. Io avevo in mano un campanaccio e con i miei compagni facevamo un allegro chiasso, richiamando così l’attenzione dei paesani. Fu un successo! Dalle povere case uscirono in molti, che, intuendo il motivo della nostra ambasceria, aggiungevano le loro offerte al carro secondo quanto potevano. In breve il carro si riempì di salami, polli, farina, torte e pure qualche indumento. A tutti colpì l’entusiasmo dei bambini che si misero in corteo con i più strampalati strumenti per fare chiasso insieme a noi. Casa per casa bussammo alla porta dei poveri del paese, che con stupore e commozione ringraziavano la Provvidenza. Ci ricordammo poi della parole della zia Luigina di non scordarci della Santina che viveva in una specie di capanna fuori dal paese, e del buon parroco, Don Sirino, il quale avrebbe provveduto nel modo migliore a distribuire i doni rimasti. E così, sempre accompagnati dai ragazzini festanti, arrivammo alla misera casa della Santina, povera madre di due figli, entrambi caduti sul Carso nella Grande Guerra. Bussammo anche a quell’uscio e subito ella ci aprì: era una donna per nulla anziana ma anzitempo invecchiata da un grande dolore, tutta vestita di nero, che con grande dignità ci chiese: "Qual è il motivo di tanta festa?". Fui io a rispondere: "Cara signora Santina, noi del paese vorremmo che pure lei festeggiasse il Natale". Non mi lasciò terminare la frase e intervenne: "Grazie, grazie di cuore, ma io purtroppo vivo sola, cosa volete che festeggi?". A queste parole mi balenò un’idea e subito ripresi la Santina: " Sa cosa facciamo cara signora Santina? Lei ora sale sul nostro carro e passerà la notte di Natale ed il giorno successivo da noi". La Santina con fare tra il sorpreso ed il commosso, rispose: " Ma io cosa porto?". "Nulla, proprio nulla! Prenda il suo scialle ed una camicia da notte ma faccia in fretta perché sta ricominciando a nevicare". In pochi minuti fu pronta e la aiutammo a salire sul carro. Così finì quel pomeriggio. A casa ci stavano aspettando. Appena arrivati raccontammo loro quanto successo: la felicità si lesse sul volto di tutti. Potevamo finalmente iniziare la nostra festa e brindare così a quel Natale che aveva donato degli inaspettati attimi di felicità anche a coloro che erano meno fortunati di noi.
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