A Riccione, a gennaio

Questo bel racconto ci è stato inviato dal nostro cliente Vincenzo D'Antonio di Napoli.

Non mi sembrava vero. Mi ero svegliata come al solito presto ed ero andata in cucina per prepararmi il caffè, come al solito. Alzo la serranda e dal mare arriva l’early warning della giornata ventosa a nubaglia scomposta. Il termometro a parete, attendibile quanto basta, mi trasmette il brivido di un grado, solo uno, sopra lo zero. Caloriferi a tutto andare, è ovvio. E ancora non mi sembra vero e la gioia è lì che prorompe man mano che realizzo e divengo consapevole: ieri, con l’Epifania, tutti i forestieri sono andati via, ed ora Riccione, finalmente, è solo nostra, di noi riccionesi. Il nostro calendario va un po’ con la vita di Gesù, però a ritroso. Sì. Comincia con la morte di Gesù e finisce con la visita dei Re Magi dopo che è bell’e nato. E sì. Si comincia a Pasqua, anzi, la domenica delle Palme, con il preopening. E poi Pasqua e le prime frotte, e poi il ponte del 25 aprile comunicante con il ponte del primo maggio e poi giugno e poi il pienone di luglio e agosto, e poi settembre che par che scemi, e un po’ così è ma neanche tanto. E poi ottobre con avvisaglie preletargiche e poi novembre che queste avvisaglie ancor più le acuisce per poi smentirle al suo termine quando dicembre riaccende la ribalta per Natale e Capodanno. E poi, e poi, e poi, oh, finalmente, oggi, con l’Epifania alle spalle e un paio di mesi, ah, certo, mica di più, tutti per noi. C’è chi parte e va al mare, quello vero dell’Oceano Indiano e dei Caraibi, e c’è chi va sulla neve e c’è chi va dove vuole e poi torna e la racconta che la sa lunga e tutti a sentirlo e tutti a stare un po’ sullo scettico che in Romagna verità e bugia confine netto e preciso no che non ce l’hanno. E c’è chi resta, come me, e come la mia sparuta tribù di amici. E questa sera vengono a casa mia. Gli ho detto alle sei e poi si va a cena fuori, che il locale aperto lo troviamo, hops se lo troviamo. Il primo caffè l’ho preso a caffè. Il secondo lo prendo a caffellatte. Ma il latte devo riscaldarlo ben bene. E poi ci faccio la zuppa, ci faccio. Con il panettone, l’ultimo che è ancora lì, intonso, e mica posso conservarlo fino a Natale prossimo. E ci ho pure tante castagne, e i fichi e i dolcetti ancora, ma stasera andrà tutto via, così è. Per tornarmene a casa dal lavoro, ho fatto il percorso a zig zag che faccio quando ho voglia di godermi Viale Ceccarini e anche quando provo a scansare un po’ di folate di vento freddo. Alcuni negozi sono chiusi, anzi quasi tutti. I bar stanno turnando e hanno gente, poca e bella. Viale Dante è freddo e quasi deserto: che bello ! La casa è caldissima. Pigra, sono pigra. La faccio o non la faccio la doccia !?! Ma sì, che poi è bello assai, così è. La tuta, le pantofole, la sciarpettina al collo. Non preparo niente, però alloco tutto a portata. La bottiglia di vino è pronta, ma ancora non la stappo. Il pianoforte è lì, nel suo sorriso elegante e sornione. La chitarra è sulla sua sedia, che poi diventa la sedia di chi la prende per suonare. In automatismo gestuale accendo la televisione: perdura il gelo su tutta l’Italia. Stanotte si va sotto lo zero. Sì, e io vado sotto le coperte; sì, ci vado, altroché se ci andiamo. La bottiglia di vino è lì, pronta, ma provo a resistere a non stapparla ancora. Bussano al citofono: e dai che sei il primo. Apro a Francesco, bacino. Che freddo che sei. Che caldo che c’è. Che bello che è. Ma cos’è !?! Siamo tutti pieni di energica allegria. “Bevi qualcosa ?” il tempo di chiederglielo ed è già con la chitarra in mano. Ed è lì che suona il là, per accordare lo strumento. Si è mai visto un chitarrista che prenda la chitarra e la trovi già accordata !?! No, mai. Piuttosto la scorda per riaccordarla: ritualità di un gesto che fa tanto musico. “Hai visto cosa ho portato, Delia, la apri ?!” e via con un giro di do, così per scaldare le dita. E’ una bottiglia di vino: scarto. Ma è quella che ho io. Che faccio ?!? Niente, che faccio. E dove ce n’era una, ancora tappata, adesso ce ne sono due. Una è stappata; sì, la stappo io proprio ora. Francesco ed io cominciamo appena a berne un goccettino. E’ la Cagnina di Romagna 2000 della Fattoria del Paradiso, cru Vigna Giardino. Da uve Cagnina di Romagna vinificate in purezza. La fanno a Bertinoro, è qui vicino. Io vado a prenderla proprio dal produttore, che è una signora simpaticissima, e siamo diventate quasi amiche. Francesco l’ha comprata qui giù al wine bar Bacco, lo vedo dalla carta d’involto. Prendo gli struffolini che mi ha mandato l’Antonella, una mia amica napoletana. Che buoni che sono. Fortuna ve n’è tanti: Francesco apprezza. La Cagnina regge, appoggia e corrobora. “E gli altri ?” prova a chiedere Francesco, goffamente spruzzando qualche confettino di troppo, goloso e ingordo. E la risposta gliela da il citofono: da giù hanno bussato. Io abito al quarto piano. Dalla cucina e dal living vedo il mare. Dal bagno e dalla camera da letto vedo uno spicchio di Viale Ceccarini. L’ascensore si apre. Ugo e Cristina. Abbracci e baci. Cristina era un bel po’ che non la vedevo: quasi due ore! Lavoriamo entrambe, part time, presso un’azienda di telemarketing. Francesco è corpo ed anima della sua microaziendina che inventa ed organizza eventi. E’ la classica one man company che esiste perché c’è lui. E’ proprio bravo, io lo ammiro molto. Si diletta alla chitarra. Ugo è pianista di pianobar. Ugo è un artista. Cristina mi ha portato un regalino: è la sua Befana, con il suo ritardo. Quant’è cara. E’ un cappellino di quelli che si ammaccano in testa: azzurro. Mi dicono tutti che mi sta bene. Vado a mirarmi allo specchio che ho in camera da letto. Cristina mi segue. Davvero è graziosissimo. Ci sto bene, e calda, caldissima. Quasi quasi lo terrei; no, lo tolgo. Mi abbraccio Cristina, l’amica mia del cuore. Mi commuovo quasi. Ma anche lei, è allegra tantissimo e felice proprio. Si butta sul mio letto anche se lo sa che non è una cosa che proprio mi piace. E ride, e ride tanto. “Francesco ed io stiamo insieme“ mi sussurra a bassa voce, e mi guarda, e gli occhi le ridono. “E da quando ?” le chiedo, incuriosita ed incredula. “Da stasera, quasi certamente, ma lui ancora non lo sa” e lì a rimettermi il cappello che mi ha regalato e a calarmelo sugli occhi e poi mi strizza il naso e poi torna di là. “Avete visto come è tornata bella Riccione” dico io, sopraggiungendo e trovando Ugo al piano e Francesco vicino al carrellino con gli struffoli e Cristina vicino al carrellino con gli struffoli. “bella accussì nun ll’aggio vista maje!” intona al piano Ugo e comincia a suonare e a cantare. E l’atmosfera, immediatamente, diventa quasi magica. Il canto è melodioso e struggente per come lirica è questa bellissima canzone napoletana di Bovio – De Curtis. “Tu ca nun chiagne e chiágnere mme faje, tu, stanotte, addó staje? Voglio a te! Voglio a te! Chist'uocchie te vonno, n'ata vota, vedé! Comm'è calma 'a muntagna stanotte..”. Magari la dizione in napoletano non è perfetta e l’amica mia Antonella, colei che mi ha regalato gli struffoli, avrebbe molto da eccepire, ma l’interpretazione è comunque eccellente e a me viene la pelle d’oca, davvero. Ugo è di poche parole, in prosa. Lui parla cantando. Non bisogna chiedergli una canzone. Se gliela si chiede, lui, per educazione, esegue. E ciò gli capita sovente quando si esibisce e quando la sua prestazione è regolata da agreement con il committente. Ma quando suona per noi e per sé, basta ispirarlo con una frase, con un’osservazione. La Cagnina è un rosso amabile, ed ispira Ugo. Francesco e Cristina, sul divano, sono lì a sgranocchiare le castagne. Tanto per non disturbarsi, la bottiglia di Cagnina se la sono portata sul carrellino dove c’erano una volta gli struffolini. Si sono creati il loro angolino ma, bisogna dirlo, hanno lasciato la porta aperta! Sono pur sempre la padrona di casa. Riempio un bicchierino di Cagnina e lo porgo a Ugo, che è lì al piano e nessuno lo smuove più. Mi ringrazia. Si parla del gelo e allora dico che stamane a momenti scivolavo su una lastra di ghiaccio proprio davanti all’hotel Milano. E lui, subito: “ Sapessi com’è strano, sentirsi innamorati a . . . . Riccione “ La voce è intonatissima e calda: ma com’è bravo. E’ un artista, l’ho già detto. E la canta tutta, con tutte le parole al posto giusto. Mica confonde più Riccione con Milano! “Senza fiori senza verde senza cielo senza niente. Fra la gente tanta gente”. E poi prosegue solo con la musica, lasciando noi a canticchiare, sovente inciampando su parole che non sovvengono e poi, grazie al cielo, è lui a riprendere il canto per proseguire e finire così: “Eppure in questo posto impossibile tu mi hai detto "ti amo" io ti ho detto "ti amo, ti amo, ti amo" ti amo, ti amo, ti amo ti amo, ti amo ti amo”. “L’uva cagnina viene lasciata appassire leggermente prima della raccolta, me l’ha detto la signora, veramente” dico io. Ugo è in serata di grazia, me ne sono accorta subito. Si volta sullo sgabello, ci scruta tutti e tre, Cristina e Francesco sul divano, io sulla poltrona, sorride compiaciuto, si volta verso la successione dei tasti bianchi e neri e comincia a cantare, sontuosamente: “Non andare via, .......” è tra le canzoni che più mi piacciono in assoluto ed ogni volta la ascolto con emozione. “Non andare via, Non andare via, Io ti offrirò perle di pioggia venute da dove non piove mai, ..... “ e via a seguire interpretando magistralmente l’intera canzone. Siamo tutti commossi. Poi si alza, il bicchiere è pieno solo a metà e viene a sedersi vicino a me, che sono accoccolata sulla poltrona gigante. Gli faccio posto quel tanto che basta e stiamo bene così. Si chiacchiera, si conversa amabilmente, la Cagnina tesse le trame e di suo ci mette gli orditi. Un discorso si estingue nel susseguente e così via e tutti e quattro siamo dispensatori ed di una felicità interiore. Francesco racconta degli eventi collaterali all’intrapresa di Oltremare che sta realizzando. Ugo, da me sollecitato, dice che ancora non sa dove si esibirà quest’estate ma sicuro è che non starà mai più di nove giorni allo stesso posto. “E perché proprio nove giorni” gli chiede Cristina che si è tolta gli stivaletti e calza un paio di pantofole mie prese nello sgabuzzino. “Perché ogni nove giorni voglio prendermi un giorno di riposo, altrimenti crepo, e poi voglio ricominciare altrove perché . . . . . non lo so perché, ma so che è così”. Sente qualcosa dentro, si alza, poggiando la sua mano sulla mia coscia, va al piano e comincia a cantare: “Io lavoro e penso a te, torno a casa e penso a te, le telefono e intanto penso a te. Come stai e penso a te, dove andiamo e penso a te, le sorrido abbasso gli occhi e penso a te. Non so con chi adesso sei, non so che cosa fai, ma so di certo a cosa stai pensando. E’ troppo grande la città per due che come noi non sperano però si stan cercando, cercando”. Ci siamo alzati tutti e tre e ci siamo avvicinati al piano: per sentirci ancora più partecipi di questa interpretazione di Ugo, che prosegue estasiato e, nel mentre canta ci sorride con gli occhi, i suoi grandi occhi azzurri. Francesco va a prendere la chitarra, vuole provare a duettare con Ugo. Ugo continua il suo canto: “Scusa è tardi e penso a te, ti accompagno e penso a te, non son stato divertente e penso a te, sono al buio e penso a te, chiudo gli occhi e penso a te, io non dormo e penso a te”. E poi, un cenno che è di docile comando e di incoraggiamento, e Francesco attacca su La minore e Re minore e tutti e quattro a salmodiare il Na Na Na Na Na Na Na, Na Na Na Na Na Na Na, che poi cambia giro armonico e diventa Sol settima, Do e di nuovo Sol settima, so farlo anch’io, e ancora ad accompagnare il canto, tanta gioia esibendo. E’ una performance da ricordare. Ugo sfuma e sono suoi gli ultimi Na Na Na Na Na Na sussurrati. Bello è che ci applaudiamo, fragorosamente. Francesco ripone la chitarra e Cristina lo abbraccia e lo bacia. Ugo mi guarda, con i suoi grandi occhi azzurri, e mi fa cin cin con il bicchierino di Cagnina, sto con lui e sorseggiamo insieme. Il colore è rosso melograno maturo, con un’unghia violacea. Appoggio sul piano un piattino dove ho messo dei fichi mandorlati. Ugo mi ringrazia ancora e mi prende la guancia con il dorso dell’indice e del medio della sua mano, a mo’ di pizzicotto. E’ on the groove. Ha dentro, e vuole farlo uscire, il meglio del repertorio di Battisti. Anna. I giardini di marzo. Poi, va sul sornione e canta deliziosamente Innocenti evasioni: “Che sensazione di leggera follia sta colorando l'anima mia”. Cristina si è seduta a terra su un cuscino e Francesco le si avvicina compiendo un giro dietro la mia poltrona. Mi prende la sciarpettina e fa come se volesse strangolarmi. Mi passa il dorso della sua mano sulla guancia e va a sedersi anche lui, a terra su un cuscino, vicino a Cristina. Resiste pochi attimi e torna sul divano, a sedersi comodo. Ugo prosegue intrigante: “sorriso ingenuo e profumo ..... stasera arriva qualcuno ..... Ma come mai tu qui stasera, ti sbagli, sai non potrei, non aspettavo ti giuro nessuno “. Come possono quelle dita fare così tanto, come può quella voce uscire così bella e bene impostata. Mi domando, ma quanti soldi dovrebbe guadagnare Ugo per le emozioni che regala a chi lo ascolta. I pianobar di Riccione se lo contendono e lui, piuttosto che alzare le sue pretese economiche, è lì che sceglie in base alla simpatia, oppure in base al pianoforte, oppure, soprattutto, in base ad una parola data e quindi, inderogabilmente, da onorare. Stasera Ugo ci sta regalando emozioni. La Cagnina ci mette il suo. “Siediti qui accanto anima mia ed abbandona la tua gelosia se puoi, combinazione ho un po' di champagne, se vuoi, amore, come sei bella amore“. Ammiro in lui, oltre alla padronanza delle tecniche canore e musicali, anche la prodigiosa memoria, non si avvale di spartiti, e la somma capacità di interpretazione. Non ha mai voluto incidere perché, dice lui, ogni volta non è mai la stessa performance e tutto è meraviglioso perché vive e fugge. Francesco ha di nuovo vicino, sul divano, la Cristina. Hanno ascoltato Ugo avidamente e passionalmente. Ugo viene a sedersi nuovamente accanto a me. Oramai l’atmosfera è proprio deliziosamente magica. Si permea di un affascinante silenzio che nessuno osa frangere. Stiamo così bene così. Francesco si alza e stappa la seconda bottiglia di Cagnina, in silenzio. Io vado in cucina a prendere il panettone che avevo aperto stamane per inzupparlo nel caffellate. Francesco e Cristina stanno sorseggiando un bicchierino di Cagnina e sono in pacing sul divano. Sì, le loro posture sono a specchio. Cristina indossa un pantalone verde scuro e colore rosso mattone è la maglia a collo alto. Ha gli occhi molto scuri e da sempre, da quando la conosco, è bionda. E’ graziosissima ed io le voglio bene: è la mia migliore amica, con i suoi difettucci, per carità. Ma chi non ne ha ? Tranne me !?! Francesco ha pochi capelli scuri e un volto aperto, sincero e simpaticissimo. Troppo alto per Cristina, che è un metro e tanto con i tacchi ? Ma no, ma sì, ma sì, embè: chi se ne frega. Adesso Ugo, che era andato un attimo in bagno, fa una cosa bellissima. Simula, e sento le sue mani fredde ed odorose del mio sapone per le mani, che mi sta mettendo una cuffia alle orecchie. Torna a sedersi al piano, fa segno di osservare silenzio mettendo l’indice davanti al naso e, un po’ enfatizzando il primo, sapiente, tocco dei tasti, comincia: “Era il tuo passatempo, non chiedevi di più, far dei cerchi nell’acqua e felice eri tu. Ma la riva è lontana più di quello che sai e i tuoi cerchi nell’acqua non mi arrivano mai”. E la canta tutta. E ricama le note e gioca con la sua voce come solo lui sa fare. Buon Dio, siccome non è proibito piangere, io piango. Piango proprio. Ho dentro gioia. Sì, veramente. Speriamo ancora non sia finita. Ah, meno male. E’ come se avesse intercettato il mio desiderio di prolungare questo stato di ascolto. Praticamente ricomincia. Che bello: la canta nuovamente. E mi sorride e mi guarda. Cristina e Francesco si tengono per mano e vanno in cucina a guardarsi il mare. Mano nella mano e Cagnina nell’altra mano. Le dita viaggiano sulla tastiera e ne esitano melodie deliziose. Cerco la Cagnina: un altro sorsetto ancora e poi basta. Ugo, in empatia, fa altrettanto, e beve e mi lancia un sorriso dolce e birichino. Si alza e va a sedersi sul divano lasciato vuoto da Francesco e Cristina che sono di là a godersi la veduta del mare. Ugo alza il bicchierino e sollecita un brindisi. Sono la padrona di casa. Devo essere gentile e allora, solo per questo motivo, non per altro, sono io ad alzarmi dalla mia poltrona e ad andare da lui, sul divano. Hops, la birreria, chiude molto tardi. La Cagnina ha imperato suadentemente, tante cose vedendo e sempre saggiamente tacendo, per tutto un dopo cena vissuto prima della cena. Bene, e allora, a ritroso, così come a ritroso la vita di Gesù scandisce il calendario di noi riccionesi adesso si va a cena. Mi schiaccio in testa il cappellino quando siamo già nell’ascensore: stretti tutti e quattro. Ugo me lo schiaccia ancora di più. Cristina mi abbraccia da dietro e mi soffoca. Aprire il portone e prendersi gelo a dosi massicce è tutt’uno. Intrepidi proseguiamo, Riccione è la nostra. Il cinema Odeon è chiuso. Il Blu bar è aperto. Canasta è chiuso. Madison è chiuso. La fontana con la perla è ghiacciata. Siamo i soli, noi quattro, a percorrere Viale Dante. Fischia il vento. Fischietta anche Ugo: la canzone galeotta. Io sono abbracciata a lui e non sento freddo. Cristina si è persa dentro il cappottone di Francesco. Il tratto peggiore: faccia al mare. Entriamo da Hops. A noi due una piadina per due una ciascuno; anche a noi due una piadina per due una ciascuno. A Riccione, a gennaio.

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