Novecento addio!

Questo nostalgico racconto ci è stato inviato dal nostro cliente l'Arch. Giuseppe Broletti di Bergamo.
Il racconto è tra i vincitori del Premio Letterario "Bacco e le Muse".

Un poco distratto guardo l'orologio che segna le diciassette del trentun dicembre del millenovecentonovantanove. Giorno questo che mi trova tanto solo nella mia vecchia casa di campagna a venti chilometri dal capoluogo. Il camino della grande cucina dove sto meditando è tutto un allegro scoppiettare, così che mi toglie la malinconia dovuta al mio carattere ed un poco alla mia attuale solitudine. Il mio pensiero percorre i decenni che ho vissuto nel novecento e che in queste ore sta terminando. Altro che decenni, oltre mezzo secolo, che ho percorso nella mia casa in campagna, tra momenti felici e momenti anche un poco tribolati. Ora all'età di quasi settant'anni in questi ultimi aneliti del secolo mi trovo solo. Tutta la mia famiglia, io consenziente, si è trasferita a passare gli ultimi giorni che precedono il capodanno nella casa al mare di proprietà di mia moglie. Si sono liberati di me. Per respirare lontano da me, da un uomo uggioso, pedante ed oltremodo brontolone, il che è più o meno vero, anzi verissimo. Con me è rimasta la mia cara vecchia domestica Maria, e la mia altrettanto cara Bepa, cane a me affezionatissimo. I miei pensieri vanno ai ricordi di quando ragazzo, tutto intorno alla nostra grande cascina, era un susseguirsi non interrotto di campi e vigneti: le strade erano, come oggi si definiscono, bianche e polverose. Era tutto un acquarello dove i colori si presentavano ora tenui, ora vivaci, e costante era la pace. Le mie figliole ridono di questo mio continuo ritornare al passato, un passato che io rappresento come una accusa al mondo di oggi, frenetico, inquieto e tribolato. Una delle mie figlie è diventata imprenditrice agricola del nostro podere, da poco tempo tutto meccanizzato, tutto incredibilmente stravolto dalla frenesia produttiva, da infernali macchine che con appigli meccanici masturbano quelle povere mammelle delle nostre mucche, allungandole all'infinito. Dalla vigna si produce un ottimo vino, ottimo davvero, ma dal sottoscritto criticatissimo: il vino dei miei tempi era vino, si senza pretese, ma che vedevamo nascere dall'uva pigiata dai nostri piedi, dove il mosto già si beveva durante la pigiatura, unitamente con il pane fatto da mia madre e con del salame, oggi assolutamente introvabile. I miei ricordi continuano a rovellarmi. Si, ci fu pure una guerra, ma gli uomini che la combatterono, poi a guerra finita non portarono, per la gran parte, odio. Ma iniziarono per pochi soldi un duro lavoro e ricostruirono il paese. Questo era il novecento fino a pochi decenni orsono. Ora tutto è cambiato: sviluppo ed ancora sviluppo. Progresso morale: nulla! Cosa poi ci rimane? Si qualcosa ci rimane: la speranza. Mentre sto scrivendo queste malinconiche considerazioni, il tempo sta scorrendo velocemente, mancano quattro ore alla mezzanotte. Chiamo la mia Maria chiedendole cosa mai di buono mi sta preparando per la cena di fine anno. Lei mi si avvicina e mi rende noto il menu: "Caro il mio Giuseppe, cose semplici che a lei piacciono" e continuando "non essendoci la signora Anna, e soprattutto sua figlia medico, che sappiamo quanto si preoccupa per la sua glicemia, questo che le descrivo è il pranzo della mezzanotte: solito nostro gustosissimo salame, ravioli fatti da me, me stessa medesima, e per finire dopo un intero capitone alla cacciatora, la mia torta di castagne". "Brava, brava la mia Maria" gli faccio eco "e a vino?". "Vino ..." fu la risposta "... una bottiglia di barbera spumoso, senza etichetta, e con la torta il nostro insostituibile dolce moscato". Che gioia osservare la mia Maria con l'entusiasmo di una ventenne. Sembrava uscita dal tempo delle fiabe, dal tempo della felicità, dalla gioia di vivere, con poco e di poco. La mezzanotte sta per scoccare prendo la bottiglia di moscato, la stappo e la verso in due bicchieri ed entrambi brindiamo al duemila. Addio caro vecchio novecento, quanto rimpiangerò quando si beveva dai fontanili, quando gli uomini il giorno di festa erano felici attorno ad un tavolo di osteria giocando a carte e bevendo vino, vino giusto e generoso. Novecento addio.

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