Mel

Questo bello e malinconico racconto ci è stato inviato dal nostro cliente Vincenzo D'Antonio di Napoli.

Adesso si è addormentata. Un pò, come al solito, mi ha fatto tribolare. Prima, non vuole che la veda mentre si spoglia, va nel bagno, si lava, si mette il pigiama. Poi, però, vuole che debba indovinare i tempi e arrivare subito alla porta della sua camera non appena si è messa a letto, sotto le coperte. Accende la luce piccola sul comodino e vuole che le tenga compagnia, fino a che non le viene sonno. Dapprima, svogliatamente, lei principiando allo scopo di evitare che sia io a porle le domande, mi costruisce sintesi della sua mattinata a scuola, glissando su compiti ed interrogazioni e sempre dimenticandosi di avvertirmi quando ci sono gli incontri con gli insegnanti. Poi mi chiede, invariabilmente, se sono stanco e poi, gli occhi suoi fissando nei miei e con il suo sorriso melanconico che tanto mi strugge, comincia a chiedere di te. Le solite domande: come ci siamo conosciuti, quando abbiamo deciso di sposarci. Quando abbiamo deciso di volere un figlio, e come abbiamo reagito quando abbiamo saputo che era una figlia, e via così: sempre la stessa voglia di sapere e di cibarsi di memoria familiare, sempre diversa la formulazione delle domande: parole appropriate e costruzioni insolite del periodo, frequente la doppia aggettivazione. Stavamo già conversando da un bel po’ quando, i capelli biondi scuotendo più del solito e con sguardo dolce e struggente, risposta implorante, mi ha chiesto se continuerai a mancarci tanto per tutta la vita. Ed io lì, a doverle rispondere. La buona sorte pusillanime ha fatto trillare il telefono ed un collega a me caro perché sincero, più volte scusandosi per l’orario insolito, mi ha chiesto una cortesia: facile per me fargliela, immensi i vantaggi per lui nel riceverla. La conversazione telefonica è poi proseguita su argomenti secondari e tali da preparare il commiato secondo un convenevole che gli consentisse, un paio di minuti essendo trascorsi, di ricordarmi nuovamente quella cosa là e nel ringraziarmi nuovamente per la piena disponibilità manifestatagli. Ritorno nella sua camera e la trovo addormentata, l’amatissima figlia nostra. I due polsi, giunti rovesciati sotto il mento, i capelli biondi come i tuoi a inondare il cuscino, e il viso sereno di chi, suo malgrado, a quell’età già cerca pace nel sonno ristoratore e in virtù dell’età, subito lo trova. Adesso tocca a me. Il sonno latita e lo so. E ora sono qui, scrivo, e leggo ciò che scrivo mentre lo scrivo, perché la dolce condanna è far cominciare una tastiera dove finiscono i polpastrelli di indice e medio delle due mani. Il pollice destro solo per la barra spaziatrice e le altre dita a parassita compagnia. Poi, le pause, frequenti e brevissime. Il tempo di sorseggiare il compagno paziente e talora guizzante della mia solitudine: il Mel ’99 di Antonio Caggiano. Antonio Caggiano cosa fa. Prende le migliori uve fiano e le migliori uve greco in sovramaturazione a fine novembre ché la botitrys parzialmente le ha attaccate. A fine novembre, quando i molti già bevono, vantandosene, quei feti abortiti chiamati vini novelli, Antonio Caggiano vendemmia quello che diventerà il Mel, 20 litri di vino Mel da un quintale di uve: sì, a fine novembre. Solo un microsorsettino alla volta: inumidire le labbra e il palato, e lasciare poi che il Mel fluisca dove meglio corrobora il cuore ed il cervello che magicamente si incontrano nel non luogo delle emozioni. La domanda mi verrà posta nuovamente, diversa la formulazione, in una delle prossime sere, forse già domani sera, ed io dovrò rispondere. Ti invoco affinché tu mi soccorra aiutandomi a farla crescere serena. Vorrei poter trovare le parole per dire a nostra figlia che ha tutta la vita davanti e che questa vita è come una passeggiata a piedi nudi lungo la riva sabbiosa del mare in una bellissima giornata di dicembre, il dicembre nostro, ché l’acqua del mare è calda: così è. Un altro sorsettino di Mel. Ha il colore giallo intenso ed emana un calore solare. Le sue orme sono piccole e superficiali, perché lei è piccola e leggera, come leggeri dovrebbero essere i suoi pensieri, in sintonia con il suo corpo leggero. Al fianco delle sue orme ci sono le mie, più grandi e più profonde. La riva è lunghissima ed entrambi camminiamo, soli insieme, con il nostro passo: l’uno cercando la sintonia con l’altro. A tratti, le sue orme scompaiono e, contestualmente, più profonde diventano le mie: è perché ho dovuto prenderla in braccio; per sopraggiunta stanchezza oppure per aiutarla a guardare lontano, guardando insieme, ché insieme si vede meglio e si osservano più cose. Poi, le sue orme ritornano ma le mie continuano ad essere profonde come quando sopportavo anche il suo peso: è l’affanno del cammino e la stanchezza che sovente affardella chi una meta non ha. Il calice è vuoto: non sia mai detto. Lo riempio a metà ed il colore del Mel ricorda quello del tuo sguardo quando mi guardavi e sorridevi di gusto a qualsiasi amenità mi venisse da raccontare: caloroso e di contagiosa gaiezza. Il profumo del Mel è viatico di prosieguo. Avverto gli agrumi canditi e la percezione olfattiva mi apre ai ricordi di quelle mattine in cui, un po’ di sonno rubandoci, riuscivamo a fare colazione insieme, al tavolo seduti, con le marmellate di agrumi che procuravo io e che di eguali non ve n’è. Le sottili fette di pane solo un attimo tostate e le spalmatine di marmellata di arance, di limoni, di mandarini. Certo che lo ricordo, di tutte, tutte squisite, questa di mandarini gradivi di più. Ad un tratto le mie orme si fanno sempre più profonde e tra loro vicine, le sue orme sono sempre lievi ma più grandi e spedite. Mio Dio, sono stanco. Ma è proprio la stanchezza a farmi compiere il gesto estremo: la prendo ancora una volta in braccio, proprio adesso che non me l’ha chiesto palesemente e proprio adesso che sento il vigoroso peso di un corpo cresciuto, e per l’ultima volta, insieme guardiamo lontano. Un altro sorsettino di Mel, adesso avverto anche un aroma di miele. Lei ha certamente visto qualcosa. Il suo viso si fa radioso come era il tuo quando stavamo insieme e sorride, persino. In braccio, si volta impetuosa e dolce verso di me, mi guarda fisso negli occhi; i miei occhi stanchi incontrano i suoi vivissimi e pieni di luce, e mi da un bacio forte sulla mia guancia rugosa. E mi stringe e mi abbraccia forte. E poi, naturalmente, la metto giù. Le mie orme svaniscono per sempre e lei prosegue il cammino da sola. Ed io e te, di nuovo insieme, siamo amorevolmente ad osservarla. Sono stanco davvero, sono molto stanco. Vado a riporre la bottiglia di Mel ed è come se accompagnassi all’uscio l’amico caro che va via malvolentieri ma deve, e che si vorrebbe suadentemente ancora di compagnia ma si sa che non si può. Vado nella sua stanza, mi muovo cauto nell’oscurità. Dorme. Le sfioro solo più i capelli e mi chino per poggiarle un bacino sulla fronte. Buonanotte.

  Loading...