Il bel paese

Questo simpatico racconto ci è stato inviato dal nostro cliente Vincenzo D'Antonio di Napoli.

Troppo facile. Se fossero stati dodici, sempre e solo dodici, troppo facile, dopo un po’ di tempo, acquisire la consuetudine di chiamarli “quella sporca dozzina”. Non per questo motivo, giammai, ma per circostanze del tutto pragmatiche, si ritrovavano ad essere undici: sempre undici, mai uno di più molto raramente uno in meno: il rischio della banalizzazione mai si pose. Addirittura, uno tra loro, Tommaso, ai confini della poesia disse che la parola undici, se declamata in trisillabico fonema ovvero un di ci, era misterico vaticinio di futuro radioso. Così parlo Tommaso. Decisero, pressoché all’unanimità che la cena della seconda decade del mese di Febbraio, sì gli undici organizzavano tre cene al mese, una per ogni decade con le seguenti eccezioni nel corso dell’anno: seconda decade di Agosto, terza decade di Dicembre e prima decade di Gennaio, si sarebbe tenuta la sera del quattordici: l’orrenda serata di San Valentino quando gli innamorati festeggiano, semel in anno, quanto tutto l’anno dovrebbero gioiosamente e suadentemente festeggiare: lo stato di vitalità invece dello stato vegetativo. Così è. E Tommaso, quello del trisillabico fonema si incaricò della più ardua delle ricerche: tra i nomi soliti ed anche tra gli emergenti, un ristorante che non si contaminasse con il menù di San Valentino accettando solo coppie innamorate e preparando menù a cavallo tra il bieco romanticume ed il finto afrodisiaco. Lo trovò: “Scirocco”. Mario il patron. Ottantenne in gamba. Molto, ma molto più giovane del melanconico figlio Cesare. “Mario cosa ci prepari?” “Vaffa . . . “ rispose Mario “E perché mi mandi a vaffa . . . .” risentito ed incuriosito il prode Tommaso rispose. “E perché che cosa mi prepari lo vai a chiedere a quelli che hanno il congelatore pieno e poi ti fanno i menù a tema, caro il mio Tommaso che tutto sa e nulla capisce”. Tommaso accusò, non replicò e perseguì il suo obiettivo di riservare il tavolo per undici per la sera di San Valentino. “Mario, accetti anche scoppiati?” “Vaffa . . Tommaso. Io accetto solo scoppiati per San Valentino”. Un giro di e-mail e la convocazione, da tutti gli undici sodali ambita, pervenne puntuale: cena della seconda decade di Febbraio, schedulata per la sera del 14 da Mario, il patron dello Scirocco. E cena fu. “Mario cosa ci prepari?” chiese Valerio, l’unico degli undici a cui Mario sempre (quasi sempre) volentieri rispondeva garbatamente. “Valerio, per te e per i tuoi amici, il mare quest’oggi è stato prodigo e generoso: lascia fare a me”. “O Mario, come tu fai, fai bene”. “E da bere?” chiese Umberto, il sommelier della brigata. “Tu di vino non hai mai capito nulla, e quindi faccio io e sei anche pregato di star zitto che sennò il calice ti levo” rispose Mario. E l’allegra brigata che si autodefinì “una dozzina meno un’unità” si ritrovò a tavola, e poi benedisse, il Gavi Fornaci 2004 DOCG di Castellari Bergaglio. “Come ve lo immaginate il Paradiso?” chiese Giustino, il mistico della brigata, un quasi prete che prete non poté essere per come onestamente ammise che mai la castità potesse annoverata tra le cristiane virtù. Proseguì autonomamente: “io me lo immagino così: senza di voi e con questo calice di Gavi”. Antipasto di cecinielli con ricetta segreta e strucchi, ovvero piccole seppioline, in guazzetto. Poi, tagliatelle al nero di strucchi con cecinielli e trancio di cefalotto come secondo. Il Gavi Fornaci di Castellari Bergaglio abilitava pensieri nobili. “Avete visto in televisione la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Torino?” chiese l’intellettuale della compagnia, lo stralunato Ernesto, professore di Filosofia ad un liceo classico a rischio di estinzione per mancanza di studenti . Quasi tutti annuirono, intendendo che l’avevano vista, chi in diretta, chi nei servizi differiti. Il Gavi Fornaci di Castellari Bergaglio fungeva da fluido collante in conversazione che si elevava. “E che Italia avete visto?” così proseguì Ernesto, quasi ispirato e con piatti vuoti per come le pietanze erano state golosamente gradite. E qui le opinioni si intrecciarono. Si fece sovente riferimento a Giorgio Albertazzi ed all’Ulisse di Dante. “Considerate la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. “Io ho visto l’Italia che si sveglia dall’incubo. Io ho voluto vedere l’Italia che mette alle sue spalle un’esperienza durata un lustro e prova a guardare al futuro, con rinnovata lena e con rinnovato ottimismo” disse Tommaso. “Io vedo il nostro Bel Paese che riprova a partire dalle cose che sa fare: cose belle, che piacciono al mondo, fatte all’ombra dei nostri campanili” aggiunse Valerio. “Io credo che l’ora dei nani e delle ballerine stia volgendo al termine” aggiunse Umberto. Le conversazioni si intrecciarono. Mario, l’oste positivo, deliziò gli undici, pervasi dal loro suadente ottimismo. Il Gavi Fornaci di Castellari Bergaglio fu il benefico trasmettitore di un ottimismo che divenne travolgente. San Valentino: la festa degli innamorati. La cena della seconda decade di Febbraio, di undici amici che continuavano, ostinatamente, a professare incondizionato innamoramento per il loro Bel Paese.

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