A un passo dal passo

Questo bel racconto ci è stato inviato dal nostro cliente Vincenzo D'Antonio di Napoli.

“E i lupi ci sono ?”.
“Sì, magari ci saranno pure, ma proprio lassù in cima, mica scendono fino al nostro albergo !”.
“E di cosa si nutrono lassù in cima?”.
“Ed io cosa ne so; magari vanno a caccia di puzzole e marmotte”.
“Perché, ci sono anche le puzzole lassù in cima?”.
E il tono continuava ad essere caramente petulante, lezioso senza volerlo, inquisitorio senza volerlo, disarmante per quanto naturale e però, alla fin fine, pure scocciante assai.
“Ma guarda che l’esperta delle Alpi ho sempre saputo, per tua ammissione, che tra noi due sei tu, tu sei. Io la prossima volta che ci vengo, se ci vengo, è la seconda volta”.
“Ma io sono esperta delle Alpi della mia Lombardia, mica di qui!”.
“Ma non siamo in provincia di Brescia, non è Lombardia oppure si tratta di rifare le carte geografiche?!?”.
“Non si tratta di rifare un bel nulla, è che adesso che arriviamo su al Passo siamo nel Trentino e allora io non ne rispondo di cosa hanno combinato in Trentino !”.
Il fatto di conoscerla poco, a dire il vero, a disagio mi metteva. Se stava parlando sul serio, mi preoccupavo per la sua intelligenza, ma se invece stava scherzando, molto mi rallegravo per il suo propagato umorismo, gagliardo e fine. Continuavo a stare un po’ guardingo ma dovevo, potevo e volevo credere che stesse gradevolmente scherzando e mi sincronizzai sul suo registro. Nicoletta era così, due treccine corte a dividere dal di dietro un volto vispo e intrigante. Gli occhi il colore del muschio, no, un po’ più scuri e gli zigomi a sporgere bellamente.
“In Trentino hanno solo fatto un po’ di storia di questo Paese, a non ricordare male. E noi a chiamarla la Grande Guerra, a chiamarla, che le piccole ancora non so quali sono, non so”.
“Vedi quel paesino lì, adesso ci passiamo dinanzi, e poi qualche giorno veniamo a visitarlo, vuoi?” e proseguiva senza attendere risposta che incassava positiva per definizione “ quel paesino si chiama Pontedilegno, adesso è famoso perché ci villeggiano ministri e senatori. A me piaceva di più prima, quando non c’erano ministri e senatori”.
“Cosa ti piaceva di più prima, che non c’erano ministri e senatori o che c’erano ma non venivano a villeggiare a Pontedilegno?”.
“Mi piaceva di più prima, quando Narcatello e Frigidolfo qui si incontravano per far nascere l’Oglio e poi ogni fiume aveva la sua acqua e nessuno la ampollava e nessuno diceva che era acqua sacra; mi piaceva di più prima, te l’ho detto, Pontedilegno”.
Nel frattempo, erano all’incirca le cinque di un pomeriggio splendido dell’ultima decade di giugno, arrivavamo alle rampe di Pontedilegno, salendo da Temù.
“Io adesso non ti dico più nulla perché qui cessano le mie competenze alpine, in Trentino stiamo entrando e allora dimmi tu le cose, le cose che sai.”
“Ma pupetta mia, una cosa dimentichi, io non sono trentino . . . “
“Perché quanti anni hai ?!? Non sei sulla trentina !?!”:
“A parte il fatto che sto nei minuti di recupero dei thirty and over, ma lo sai che . . . . che sei proprio una gran bella simpaticona! Fai delle battute che hanno il pregio di farmi sorridere, hanno”.
“Ma perché ripeti sempre le ultime parole della tua frase, ripeti sempre ?!”.
E così continuava a scherzare, la prode Nicoletta, e gli occhi colore muschio, no più scuri ancora, sembravano dardeggiare nella tersa luce dei quasi duemila metri e fungere da carrier alla sua voce modulatissima. La strada saliva ancora, tornante dopo tornante e Nicoletta, ad ics le gambe sul sedile e le mani intrecciate dietro la nuca, tutto osservava e sovente diceva la sua.
“Da qui passavano i portatori di sale, ché da Genova venivano e arrivavano fino in Austria”.
“Pensavo arrivassero fino ai confini con la Lombardia e poi si fermavano a chiedere delucidazioni alle guardie forestali trentine “.
Non colse, proseguì guardando un po’ me e un po’ i tornanti che ci venivano incontro.
“E quando c’era tempesta, e il vento, e le bufere di neve, qui passavano le streghe, ma questo tanto tempo fa, mica oggi, che è un pomeriggio bellissimo e che questo sole sembra che già quasi riscaldi”.
“Veramente, pupetta, giù da noi è un mese che ci facciamo i bagni a mare”.
“Giù perché è giù a valle oppure perché è alle tropicali latitudini? Cosa intendi dire, pupetto, quando dici giù?” e prese a guardarmi questa volta non potendo nascondere il sorrisino monello e beffardo di chi entra in sintonia e sta a suo agio nel solco delle battutine in essere.
“E’ proprio vero che vanto innumerevoli tentativi di imitazione adesso ti ci metti anche tu, ti ci metti” e questa mia ridondanza fu ovviamente voluta ed enfatizzata da differente tono di voce, querulo alquanto.
Giungemmo, tra grandiosi scorci, al Passo del Tonale. La prima impressione, quella indelebile, non fu, sia per Nicoletta che per me, delle migliori. Scomposta edilizia arruffona con vago senso di incompiuta e vaghi sentori di improbabile suk. Dell’albergo che ci avrebbe ospitati, nessuna traccia. Un Passo è un passo, così qualcuno in cimento tautologico affermerebbe ed è solo un punto di flesso tra più vette che tendono, indifferenti, ad un momento di giunzione a scavalco.
“Io leggo le insegne a destra e tu quelle a sinistra” mi disse Nicoletta, al disbrigo della sua mansione contestualmente ponendosi “e guida piano ché altrimenti qualcosa può sfuggirmi, può”. Ma, nel mentre eravamo già giunti alla fine del Passo e la strada cominciava a scendere verso Vermiglio: paesino incantato.
“E allora ritorniamo indietro ed io guardo sempre a destra che poi era prima la tua sinistra e viceversa, vice” così diceva Nicoletta che, per nulla agitata dal mancato ritrovamento dell’albergo era lì che scherzava imitando quello che a suo dire era il mio modo di ridondare la parte finale di una frase.
“E per forza” dissi io “passo dopo passo setacceremo il passo”
“Che bella rima baciata, anche poeta sei, sei, sette, otto, nove,!”.
Della Mirandola nulla scorgemmo. Ci fermammo presso il primo bar aperto che vedemmo. Accostai bene ed accesi i lampeggianti, dacché non volli spegnere il motore per una sorta di emulazione dei grandi viaggi on the road, quando il motore lo si spegneva una sola volta, a meta raggiunta. Nicoletta volle scendere anche lei e subito si sgranchì bellamente, le braccia divaricate alzando al terso cielo e le gambe tendendo mentre inarcava la schiena: il panorama era proprio bello assai. Caffè, caffè: 2 caffè. Ed un avventore intento a raccontare al barista microcronaca del villaggio, tacque, un po’ per doverosa privacy, un po’ perché un quesito dai viandanti smarriti quasi se lo aspettava. Fu Nicoletta, nel mentre zuccherava il suo caffè, che chiese al barista, sapendo che la domanda avrebbe avuto ascolto corale, se conoscevano la Mirandola. La risposta svelata giunse esauriente e prontissima.
Eravamo nelle vicinanze. Non lo avevamo visto perché era defilato: un chilometro scarso di strada bianca ed eccolo lì, ce lo indicarono e già lo vedevamo: divenne ambita meta. Prudenti percorremmo il chilometro scarso di strada bianca procedendo a passo d’uomo, dove scansare pozzanghere infide e dove scansare doni di mucche all’ecosistema, a beneficio dell’estetica delle ruote della vettura. Eccoci giunti alla Mirandola: delizioso il posticino.
“Ma non è al Passo” dissi io salutando il signor Claudio, il vispo patron della casa, “è a un passo dal Passo, ma non è al Passo”.
Un domani, garbata la notifica che mi fu fatta e che accolsi lietamente, tale mia osservazione diventava claim di loro depliant. La stanza che ci diedero era molto bella: una mansarda ampia con salottino e lettone incastonato ad angolo. La vista era sul sentiero che portava al Passo dei contrabbandieri. Dopo un paio d’ore uscimmo dalla nostra stanza. Ci incamminammo, rilassati, seppure ancora gioiosamente stanchi, verso il sentiero che conduce al Passo dei contrabbandieri. Lo principiammo. Si avvicinava l’ora magica del crepuscolo. Erano i dì più lunghi dell’anno e, al calar delle tenebre, montagnose tenebre, saremmo entrati nella sciamanica notte delle streghe. I colori vividi, prima di cedere all’oscurità, rilucevano di struggente luminosità. Le cime, i loro netti profili, il cielo: le prime stelle. Era la notte delle streghe. Facemmo turn around e nel tornare in albergo andammo direttamente al ristorante: elegante. Eravamo in tutto 10 ospiti: cinque coppie. La temperatura esterna adesso era di 9 gradi. Il camino era acceso ed il tepore era quello giusto. Canederli, ma sì: rifiutiamo i canederli ? Non sia mai detto. Al burro fuso: ma sì, quello che ci vuole. C’è un vino suggerito che non deve essere niente male: il produttore è anonimizzato, purtroppo, ma il vino è il Teroldego di Rotaliano. Andrebbe bene, andrebbe.
“Ma forse tu vuoi altro, fatti dare la carta dei vini e scegli tu. Ti dico, mi affido a quello che scegli tu: mi affido perché mi fido”.
Quanto mi piacque ascoltare la suadente voce di Nicoletta, che parlava appoggiando le parole sui suoi occhi colori del muschio, no più scuri. Un’attestazione di stima spesa per la scelta di un vino. La carta, ben fatta, ci viene subito porta dal bravo maitre Sergio. Purtroppo anch’essa è concepita secondo lo stile del libro di geografia: per regioni. Come se il vino obbedisse alle regole della geografia politica e non alle misteriose presenze dei vitigni. Quando e dove, se mai, una carta ordinata per vitigni oppure, speculativamente, mirror del menù e ordinata per suggerimenti di abbinamenti ai piatti !?! Siamo a duemila metri circa, in Trentino che, come recita un depliant, è l’unica regione che fa rima con vino. Ed è la notte delle streghe. E qui, al Passo del Tonale, come mi diceva prima Nicoletta, quando lasciavamo la sua Lombardia per accingerci al Passo, le streghe erano di casa. E magari lo sono anche stasera. Riconosco di essere, al meglio della compagnia, in uno dei posti più belli del creato: sono felice. Se Dio vuole, saranno nove giorni di gioioso relax: Nicoletta ed io. Ma adesso devo scegliere il vino. L’ordinamento per regioni non è alfabetico: è top down secondo latitudine. Ehi, quanta Toscana. Scendo ancora, l’Abruzzo, poi il Lazio. Scendo ancora: leggo Campania. La mia Campania felix: lontana laggiù. E sento Nicoletta, che adesso mi guarda intrigante e complice, che mi dice:
” Giù perché a valle oppure giù perché ai tropici”.
Leggo, e poi rileggo: è così. Davvero, è presente in carta un grande vino di un grande produttore. E’ nella verde irpinia con i suoi massicci montuosi e le sue due montagne soliste, dirimpettaie rispetto al capoluogo: il Partenio e il Terminio. E c’è un piccolo paese che ha il nome di un vino: Taurasi. E le uve sono aglianico al cento per cento.
“Hai visto che bella cena, che bell’albergo, che bella compagnia “mi dice, sempre più vezzosa ed intrigantemente simpatica la bella Nicoletta dalle vispe treccine e dai maliziosi occhi colore del muschio, un po’ più scuri.
“Sto vedendo, ammirando ed in cuor gioendo” le dissi guardandola negli occhi di quel colore lì e, nel contempo, riponendo a margine del tavolo la carta dei vini: avevo scelto. Il compunto Sergio con lodevole tempistica si riavvicina.
“Radici Taurasi del novantotto, di Mastroberardino”.
Sergio annuisce e si dissolve per eseguire l’insolita comanda.
“E’ vero che qui passavano le streghe?” chiedo a Nicoletta, le sue mani con le mie cercando, i suoi occhi con i miei incrociando.
“Sì, è proprio vero, ed erano tante”. “E questa notte è la notte delle streghe, vero?!?”
“Sì, bistecchino, sì; questa è la notte di San Giovanni e le streghe tornano qui e danzano il loro sabba: e i fuochi ardono anche senza combustione e non lasciano cenere e le stelle in cielo occhieggiano e noi siamo qui e tutto osserviamo”.
Bistecchino era nomignolo che mi aveva dato Nicoletta, probabilmente in riferimento ad adipe non del tutto assente.
“E le streghe sapendo che tu venivi qui e venivi con me hanno manomesso la carta dei vini e l’hanno impreziosita con chicca vera, il Radici Taurasi di Mastroberardino”.
“Io non lo conosco questo Radici Taurasi di Mastroberardino, ma se tu dici che è buono, prendiamolo, vedrai che mi piacerà, se piace a te”.
Oddio, questo pacing così enfatico, questa voglia di armonizzare gusti e voluttà mi piaceva assai. Dopo i canederli al burro fuso, una sontuosa arista di maiale al forno. Il Radici Taurasi era tra noi e ci raccontava del suo eponimo piccolo paese e delle sue colline e noi gli si dava ascolto e ci piaceva ascoltarlo ed a lui piaceva assai lasciarsi ascoltare. Ci raccontò del suo vitigno, l’aglianico, già presente su quelle terre da oltre duemila anni. E poi altro, e poi: giacca a vento e due passi fuori: sei gradi. Solo pochi passi, appena in direzione del Passo dei contrabbandieri. Ci fermammo nello spiazzo all’inizio del sentiero e vedemmo le streghe danzare il loro sabba: instancabili ed eteree. Ascoltammo suoni dimenticati e viaggiammo nello spazio e nel tempo: a un passo dal passo

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